lunedì 18 maggio 2015

False friends are like our shadows...

...e prima ci si rende conto di chi sono, meglio è.
 
 
Facciamo il punto. Verso la fine di due anni fa, un'"amica" (virgolette d'obbligo) mi ha chiesto se potevo fare dei trattamenti al compagno della madre, che stava decisamente poco bene, possibilmente come trattamento di favore dato che i soldi non erano molti. Essendo una persona con cui ero in rapporti di amicizia accetto, lasciandole il mio numero e dando un prezzo vantaggiosissimo.
Si è rimandato, prima per problemi di salute di questa persona, poi per il ricovero di Barbapapà. In ogni caso, verso settembre dello scorso anno, dopo averle di nuovo lasciato il mio numero di telefono, comincio.
 
 
Si tratta di un personaggio tecnicamente famoso, un regista; taccio il nome, perché ho rispetto della privacy altrui, e perché di questa faccenda è l'unico ad averci rimesso. In ogni caso, la madre della mia "amica", la sua compagna/badante, è brava solo a prendersi cura di lui, per il resto è un disastro.
 
 
Ogni tanto scopro, telefonando io, che non devo andare; ogni tanto si rimanda il mio pagamento alla volta dopo, o a due volte dopo; ogni tanto, lei esce per fare delle commissioni e devo aspettare anche mezz'ora per avere il mio pagamento, oppure mi trattiene mezz'ora in chiacchiere che non mi interessano né mi riguardano, solo perché sono l'unica persona esterna con cui può parlare, mangiandosi di fatto il mio tempo, che tendo a valutare abbastanza. Oltretutto, solo per arrivare a casa loro ci impiego 1 ora, altrettanto per andare via, e quasi sempre arrivo che il mio paziente dorme o sta facendo colazione o guarda la televisione, e scuoterlo mi richiede altro tempo fondamentalmente sprecato.
 
 
Durante una sua ricaduta, mi viene chiesto di andare in una clinica (decisamente scomoda da raggiungere con i mezzi) per trattarlo. Arrivo che la compagna non c'è, non ha pranzato e devo dargli io da mangiare, il tempo in cui mi sarei potuta trattenere era giusto l'ora delle visite ma mi viene chiesto di prolungarlo - per far cosa poi, non so, dato che appena lo mettiamo in piedi decide di andare in bagno e non riusciamo a fargli fare un passo dopo l'altro, dopo una settimana di allettamento -, e tanto per finire arriva il fisioterapista della clinica.
Morale della favola, due ore buttate più l'andata, che mi dovrebbero venire pagate subito, ma che non ha sull'unghia, le dispiace molto. Un po' frustrata, decido di aspettare.
 
Rientra, sta molto meglio, chiamo - sempre io, lei si dimentica -, e torno a fare la mia ora di viaggio-ora abbondante di terapia-rientro; e di nuovo, niente soldi. Così altre due volte. Alla quinta ora faccio un discorso con questa donna, dicendo che se non può corrispondermi lo stipendio non ha senso che vada, e che preferisco aspettare che sia lei a chiamarmi se e quando potrò venire. Lei, che faceva tutta la dispiaciuta, alla mia fermezza si inalbera, alza la voce, comincia a darmi del lei con toni pesanti ed a dirmi che "la tiro lunga", ma alla fine sembra vedere la logica e ricomincia a fare la carina, promettendomi i soldi per il fine settimana. Le dico che il venerdì avrei avuto impegni, e che nel weekend non sarei stata a Roma, e lei mi garantisce di dare i soldi alla figlia, che vive dietro casa mia. Facile e pulito.
 
 
Il venerdì incriminato mi ritelefona. Di nuovo le faccio presente che non sarei passata da quelle parti, e che non sarei stata a Roma, e ribadisco che o ci vedevamo il martedì, oppure poteva darli alla figlia. Opta per la seconda.
 
Il sabato mi scrive che la figlia mi ha scritto su faccialibro. Quando, la domenica, ho un momento di tempo, leggo il messaggio, che dice fondamentalmente che i soldi ce li ha lei e che è molto impegnata, le rispondo okay, non c'è problema, questo è (per l'ennesima volta) il mio numero, quando lo vedi ci sentiamo e ci si vede. Provo anche più volte a chiamarla, ma il suo cellulare mi suona sempre staccato.
 
 
Passano giorni senza notizie. Chiamo la signora il lunedì per scoprire che non ci sono i soldi, quindi niente terapia. Il giovedì vedo un altro messaggio della figlia, scritto di mercoledì, che mi dice che sta sempre sui mezzi e che quella sera andava a pilates, ma prima o poi ci saremmo viste, e comincio ad inalberarmi.
 
 
Come ho fatto qui, ma in modo meno dettagliato, scrivo la mia esasperazione su faccialibro; dello stipendio non pagato dopo cinque ore di lavoro, degli inutili regali di biscotti quando mi si lascia mezz'ora in più in sospeso; insomma, mi levo i sassi dalle scarpe, senza un nome né niente.
Alcune ore dopo, apro la posta e trovo un commento al post scandalizzato ma già abbastanza pesante della mia "amica". Provo un lampo di vergogna - maledetta educazione -, ma io non sono in torto. Non le rispondo. Altre ore dopo, mi telefona, mentre sto lavorando, e ci accordiamo per mezz'ora dopo. Il ragazzo che tratto, a conoscenza della situazione, ridacchia.
Quaranta minuti dopo arriva, solo che becca anche i miei, tutti fuori casa. La invito per un bicchiere d'acqua - altro tentativo per chiarirci -, ma mi molla i soldi in mano e se ne va frettolosamente.
 
 
Ora. Tutto a posto? Non esattamente. Il venerdì ricevo messaggi orribili, sul cellulare, dalla madre; messaggi in cui mi si accusa di calunnia e comportamento scorretto, di abuso di fiducia e simili. Mi affaccio un attimo al negozio di Erbalista, e scopro che la mia "amica" ed il fratello hanno dato libero sfogo su faccialibro.
 
 
Che dire? Io ho dato il massimo, ho lavorato col massimo della professionalità, ho pubblicato un legittimo sfogo, ho ricevuto finalmente quei - troppo pochi - soldi che mi spettavano, e mi chiamo fuori. Dal contratto lavorativo e dall'amicizia.
Ed ho imparato. Mai più sconti a nessuno.